Se non è il dream team poco ci manca. I ministri che collaboreranno con il nuovo presidente del consiglio è un sapiente connubio tra tecnici e politici. Draghi ha chiamato a sé tecnici che non solo hanno una reputazione eccellente, ma se la sono costruita operando: basti pensare come siano in buone mani la giustizia con Marta Cartabia o le infrastrutture con Enrico Giovannini. Anche l’aver accolto nomi non proprio ecumenici, come il ritorno di Renato Brunetta alla pubblica amministrazione, colui che definì fannulloni molti dipendenti pubblici, dà la sensazione che sarà un governo operativo, rispetto all’esecutivo precedente, appiattito su Palazzo Chigi. Sapientemente, l’ex capo della Bce ha saputo chiamare alla corresponsabilità tutte le forze politiche che lo sosterranno in Parlamento, reclutando o confermando leader di prima fascia come Giorgietti della Lega, Gelmini di Forza Italia, Speranza di Leu, Orlando del Pd e Dimaio 5 stelle che, non schiodandosi dal ministero degli esteri, farà da ufficio di segreteria a Draghi nelle relazioni internazionali. Se per vincere ci vuole una buona partenza, questo governo sembra nato con un’ottima spinta.